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«I raid aerei su Livorno: dal 28 maggio 1943 al luglio del 1944
Sulla base della documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato nel fondo Ministero dell’Interno, Direzione generale per la protezione antiarea e servizio antincendi (UNPA) e, in particolare, grazie ai fonogrammi pervenuti ai comandi di ispezione dell’Unione nazionale protezione antiaerea, siamo oggi in grado di ricostruire con esattezza non solo il numero ma anche gli effetti delle incursioni aeree angloamericane sull’intero territorio di Livorno e provincia.
Un elenco completo delle incursioni aeree, con dati precisi sulle aree della città colpite durante il periodo bellico, venne redatto dalla Prefettura di Livorno alla metà degli anni sessanta del Novecento, su incarico della Direzione generale della protezione civile del Ministero dell’Interno. Si tratta di documenti di straordinaria precisione che consentono di distinguere subito tra i “bombardamenti aerei più disastrosi subiti dalla città di Livorno”, con evidente riferimento a quelli messi a punto dagli angloamericani, da “altri bombardamenti subiti dalla città”, riferiti invece agli attacchi aerei dell’aviazione francese, suddivisi a loro volta per data ed orario del fatto.
Tra il 16 giugno 1940 e il 26 luglio 1944 la città di Livorno subisce complessivamente cinquantasei bombardamenti di cui ricordiamo in particolare, oltre alle incursioni aeree degli angloamericani tra il 28 maggio 1943 e il 7 giugno 1944, le incursioni effettuate dall’aviazione francese il 16 e il 22 giugno 1940 e poi di nuovo il 9 febbraio 1941. Inoltre, il 13 giugno 1940, tre giorni dopo il discorso di dichiarazione di guerra di Mussolini, un raid messo in atto dal quadrimotore Farman 223-2 dell’Armée de l’Air, utilizzato per dare la caccia alle navi da guerra tedesche, mette a bersaglio alcuni caseggiati della città toscana.
Il 16 giugno 1940, alle ore 2.30, dunque, l’aviazione francese lancia su Livorno degli spezzoni che causano lievi danni nel quartiere Venezia, in Piazza Grande e in Piazza Magenta. Nel corso di un successivo bombardamento alle 4.45 del 22 giugno vengono colpiti abbastanza gravemente l’albergo Palazzo e i Bagni Pancaldi; infine, il 9 febbraio 1941 viene attaccata la zona dell’ANIC.
L’incursione aerea più disastrosa e perciò destinata a rimanere maggiormente nella memoria delle popolazioni civili locali resta però quella del 28 maggio 1943 perché il centro della città subisce il primo vero “bombardamento a tappeto”, quello temuto ma che nessuno pensava mai dovesse accadere: pochi minuti dopo il suono delle sirene, Livorno viene sconquassata dal lancio delle bombe, sommersa dal ferro e dal fuoco, i tetti, le mura, edifici interi saltano in aria, le macerie ricadono e producono ulteriori danni e vittime.
Secondo quanto scritto dal generale di Corpo d’armata Orlando, comandante generale della protezione civile antiaerea (UNPA), alle 11.30 di quella mattina (per pochi minuti) e successivamente alle 12.15 (per la durata di un quarto d’ora), circa 60 aerei dell’aviazione americana si abbattono sulla città e l’intera zona portuale, provocando ingenti danni a stabilimenti e attrezzature militari. Vengono colpite gravemente la Stazione marittima, Piazza del Voltone, Piazza Magenta, Via Maggi, Via Baciocchi, Via Marradi, Via Montebello, Viale Regina Margherita, Via Erbosa (oggi Via Solferino e Via Mastacchi), la Venezia, il porto e la zona industriale.
La scarica delle bombe, giudicata complessivamente dalle autorità prefettizie intorno alle 180 tonnellate, viene fatta ricadere sugli obiettivi in due ondate a distanza di circa 30 minuti l’una dall’altra; ad essere colpiti gravemente sono inoltre i fabbricati della dogana, i magazzini generali, il distretto militare e la caserma di finanza, stanziati lungo il molo Mediceo, oltre a tre siluranti; l’esplosione di una carica di munizioni provoca l’incendio di tre navi mercantili e di un piroscafo. La caserma dei carabinieri e il Comando Tappa tedesco sono completamente distrutti.
Tra le vittime civili si contano soprattutto gli operai navali dei cantieri Odero – Terni – Orlando (O.T.O.), ma anche gli abitanti delle zone limitrofe al porto e alla zona industriale della città, così come gli abitanti del centro e quelli nei pressi dell’Accademia Navale. Una bomba colpisce in pieno la parte di strada degli Scali d’Azeglio sotto la quale era stato allestito un rifugio dove rimangono sepolte circa cento persone. Non meno pesanti sono i danni che derivano dalla distruzione dei fabbricati del Genio Civile e dell’Unione industriale, così come i danni alla Centrale telefonica, letteralmente sepolta dalle macerie, e al Palazzo del Governo: alla fine del bombardamento si conteranno 150 edifici distrutti, 300 danneggiati e circa un migliaio lesionati.
Stando ai rapporti della Prefettura di Livorno del 2 giugno 1943, tra l’allarme e l’inizio del bombardamento trascorrono solo 7 minuti e la popolazione ha poco tempo per trovare riparo nei rifugi. Ma alla prima ondata e al pronto intervento dei vigili del fuoco e della protezione antincendi per l’assistenza alle vittime, segue una seconda incursione, stavolta più violenta. È in questo momento che si ha il numero di vittime più alto, dovuto alla fuga di molti verso la caserma dei vigili del fuoco e la stazione ferroviaria, a seguito del diffondersi della notizia dello scoppio di depositi di munizioni.
Al cessare dell’incursione inizia il lavoro di estrazione delle vittime dalle macerie, svolto dalle autorità militari dell’UNPA di concerto con i Vigili del fuoco.
[…] alle 12,30 sopraggiunge la seconda ondata che effettuò il bombardamento più violento, oltre che del cantiere, dell’abitato cittadino. Ciò costrinse tutti a rientrare nei ricoveri […] a seguito di questo bombardamento vennero tagliati i collegamenti telefonici, cosicché il ricovero adibito nel posto di comando rimase completamente isolato. Per di più anche le sirene, per il danneggiamento dei fili, non potevano più funzionare. […] la voce del pericolo dello scoppio di munizioni, propagatasi rapidamente, allarmò oltre ogni modo la popolazione che si precipitò quasi totalmente verso la caserma e verso la stazione ferroviaria per allontanarsi dalla città [...].
Sempre secondo i rapporti della Prefettura, i morti accertati ammontano in poche ore a 225 (di cui 13 militari) mentre i feriti raggiungono il numero di 232, numero però destinato a salire dopo poche ore quando si contano 280 decessi a causa della morte di alcuni ricoverati in ospedale. Sono del resto i rapporti della Croce Rossa a dimostrarlo:
L’incursione aerea nemica di ieri su Livorno fu di grande violenza; bombe cadute in svariati punti della città causarono danni notevoli, specialmente nelle zone industriali e portuali, facendo numerose vittime tra la popolazione civile. Si sta accertando il numero dei morti e feriti, mentre vengono rimosse le rovine di edifici pubblici e privati [...].
È proprio a seguito di questa incursione che iniziano i piani di sfollamento dalla città, gestiti in prima battuta dai gruppi rionali fascisti che “spingono gli sfollati verso le località periferiche e particolarmente verso Montenero, Pian Di Rota, Collesalvetti e frazioni”, dove vengono organizzati i primi servizi di alloggio, vettovagliamento ed assistenza. Sono circa 15.000 gli sfollati che abbandonano Livorno con mezzi di fortuna per dirigersi verso le campagne limitrofe alla città; ed è qui che si nota subito una difficoltà di integrazione della popolazione, come segnalano in quei mesi i rapporti della Questura di Livorno, a proposito della denuncia di danni e furti nelle campagne ad opera degli sfollati.
Se l’incursione aerea del 28 maggio 1943 resta impressa in modo indelebile nella memoria locale è in realtà il bombardamento del 28 giugno 1943 quello destinato a provocare più vittime civili, anche perché vengono colpiti diversi rifugi pubblici. L’incursione dura complessivamente 25 minuti ed inizia alle 11.00, per quattro ondate successive, distanziate pochi minuti l’una dall’altra; gli aerei si alzano ad una quota di oltre 5.000 metri e vengono sganciati sulla città tonnellate di materiale esplosivo. Secondo quanto riferito dai rapporti della Prefettura, presso lo stabilimento Motofides un carro ferroviario vuoto, fermo sul binario, viene lanciato in aria per poi ricadere completamente rovesciato a grande distanza.
Per effetto detonatore degli ordigni lanciati ad alta quota, i vetri e gli infissi degli edifici, nei pressi del porto, vengono “completamente frantumati, contorte le saracinesche e scalcinate le pareti delle case”. Secondo la prima sommaria ricognizione dei danni effettuata dal Prefetto della città (accompagnato dal Podestà e dal generale dei carabinieri Carlino), il primo effetto del bombardamento è la completa interruzione delle linee telefoniche, della luce elettrica, del gas e dell’acqua.
[...] da una rapida visita eseguita in città si poté avere la percezione esatta della potenza del bombardamento nemico e dei gravi danni provocati al centro cittadino, agli stabilimenti della zona industriale ed alla stazione ferroviaria. [...] si ebbe anche purtroppo notizia che quattro ricoveri pubblici [...] erano stati colpiti in pieno da bombe e che la quasi totalità dei rifugiati erano rimasti o morti o feriti. Qui l’opera di soccorso fu lunga e assai faticosa perché feriti, corpi umani e brandelli di carne si trovavano frammisti a grossi blocchi di calcestruzzo provenienti dal crollo dei ricoveri e per la cui rimozione occorsero argani e lunghe ore di febbrile lavoro. Qualche ora più tardi, alle squadre di pronto intervento si aggiunsero altre squadre di operai da Rosignano e da Pisa ed alcune centinaia di soldati e decine di automezzi messi a disposizione dall’Autorità militare [...].
Il 25 luglio 1943, in concomitanza con la caduta del regime, Livorno subisce una nuova incursione aerea, in piena notte, alle 0.15: si tratta del terzo attacco aereo sulla città ad opera dell’aviazione americana. Il bombardamento dura complessivamente 45 minuti e viene effettuato da circa 30 plurimotori; ad essere colpita, stavolta, è tutta la zona periferica della città. Sono distrutti gli stabilimenti di una fabbrica di caramelle in Via Pompilia, gli stabilimenti della Borotalco (dove restano ferite quattro persone) e l’Ufficio postale di Piazza Carlo Alberto (oggi Piazza della Repubblica). Gravemente danneggiati sono inoltre quattro carri ferroviari presso la Stazione marittima e i cortili dello stabilimento fornace, mentre completamente distrutto da un incendio è lo stabilimento del Gommificio italiano in Via delle Sorgenti.
[…] Apparecchi, provenienti da Nord Ovest, rotearono sulla città per circa 35 minuti e lanciarono numerosi artifici illuminanti, seguiti da sgancio di bombe e numerosi spezzoni incendiari da quota variabile da 1700 a 5200 metri e scomparvero a Sud est. [...] il contegno della popolazione fu assolutamente di serena calma […] limitato numero di bombe sganciate (200-300), sganciamento avvenuto verso la periferia anziché al centro della città [...].
A ciò si aggiunge la distruzione di 14 case e il grave danneggiamento di oltre 130 abitazioni. Non viene colpito nessun rifugio, mentre quattro feriti vengono provocati dallo scoppio di una bomba nei pressi di un riparo casalingo sugli Scali delle Cantine. Il pronto intervento dei vigili del fuoco riesce poi a reprimere il vasto incendio scoppiato nella zona portuale e gli unici danni saranno prodotti alle baracche di legno degli stabilimenti di fabbrica dell’ANIC, dove si incendiano i depositi di petrolio. Secondo i resoconti del Genio Civile, i danni alle abitazioni private sono contenuti così come il numero delle persone decedute (un morto e sei feriti complessivamente) a causa del malfunzionamento di alcuni spezzoni incendiari e alla scarsissima densità della popolazione, quasi tutta rinchiusa nei rifugi. Si contano però anche altre vittime: muoiono 43 civili dell’Istituto Maddalena (due suore e quarantuno bambini); le case distrutte sono 150 e circa 380 quelle danneggiate.
Anche questa volta la città viene completamente paralizzata dalla distruzione dei servizi, in primis dell’acquedotto e dall’interruzione della luce, del gas e delle linee telefoniche. L’intera zona portuale subisce ingenti danni, tuttavia, solo con l’incursione aerea del 21 settembre 1943, a dimostrazione di come la memoria della distruzione aerea non sia strettamente connessa alla categoria di “bersaglio strategico” nel senso che le operazioni militari attribuiscono al termine. Ciò è del resto dimostrato dai rapporti stilati in quei giorni dal Comando provinciale di Livorno per la protezione civile, indirizzati alla Direzione generale della protezione antiaerea del Ministero dell’Interno:
Alle ore 12 del giorno 21 corr., un’ondata di aerei sorvolò Livorno ad alta quota e compiendo improvvisa picchiata, sganciò il proprio carico esplosivo sulla zona portuale. Dopo tale azione il Comando militare Tedesco pose in azione le sirene. Altre tre ondate seguirono la prima, ad intervalli di una decina di minuti, sganciando anch’esse nella stessa zona e lungo la linea ferroviaria Livorno – Pisa e Livorno – Collesalvetti […] risulta che nello stabilimento della Genepesca trovarono la morte alcuni operai che vi lavoravano e una decina rimasero feriti [...].
Pochi giorni dopo, il 24 settembre 1943 alle ore 22.00, la città viene sottoposta ad una nuova terribile incursione che distrugge gli impianti industriali del Silurificio Motofides, colpito a raffica da otto bombe. Vengono nuovamente colpiti la fonderia, i magazzini generali (incendiati per la combustione di materiale infiammabile) con perdite gravi di materie prime e di prodotti; ad essere fortemente danneggiati sono anche i reparti di attrezzature con la messa fuori uso dei macchinari, il reparto montaggio motori e il fabbricato dove si trovava il refettorio degli operai. Gravi danni a fabbricati ed impianti subiva pure la Società Metallurgica Italiana, già colpita dalle precedenti incursioni, così come la Società Italiana della Litopone e gli altri stabilimenti della Società Anonime Cementeria e le Fabbriche Affini Consorziate (FAC). Nulla però in confronto a quanto riportato dal Duomo e dalla Chiesa di Sant’Andrea, dall’Accademia Navale e dalla caserma della D.I.C.A.T. Anche della Sinagoga seicentesca, colpita più volte durante i bombardamenti, resta in piedi solo la facciata principale. Completamente distrutti sono pure gli edifici civili lungo Viale Regina Margherita (oggi Viale Italia), in Via Funaioli, Piazza Cisternone, Via Galilei, Via della Coroncina, Via Castelli e Scali del Vescovato.
Le incursioni aeree su Livorno riprendono nel febbraio del 1944 e fino a luglio se ne contano complessivamente quarantaquattro: nell’elenco già ricordato che il 6 marzo 1965 il Prefetto di Livorno Di Giovanni invia alla Procura generale della Corte dei conti di Roma, vengono menzionati come particolarmente disastrosi i bombardamenti del 14 e 15 aprile, che si abbattono soprattutto sulla stazione, e quelli del 19 maggio e del 7 giugno, che completano la distruzione della città racchiusa entro la cosiddetta zona nera, fortunatamente già da tempo evacuata.»
[tratto da Laura Fedi, I bombardamenti a Livorno, in Comune di Livorno, 28-5-1943. "Era di maggio". Notte e giorno le sirene annunciavano i bombardamenti, Livorno 2013, pp. 5-9]