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Alla fine del 1942, Giovanni Lorenzini, segretario del fascio di Piombino nonché capo del personale dello stabilimento Ilva, ordinò con l’esplicito appoggio del Federale di Livorno un intervento violento e massiccio contro coloro che in città erano ritenuti essere dissidenti o ‘disfattisti’. Le modalità con cui si realizzò questo intervento (che pare fosse conosciuto come ‘sistema Ravenna’) rivelano il suo carattere eccezionale. Tra il 20 e il 21 novembre apparvero delle scritte minacciose sui muri del centro di Piombino, redatte dagli stessi fascisti, del seguente tenore: «Sgombro delle soffitte. Anche il manganello ha lasciato le soffitte!!!», «Mormoratori attenzione. Il disfattismo si cura col manganello». Quindi, nell’arco di una decina di giorni, almeno 26 persone furono bastonate a sangue nelle vie del centro e all’uscita delle fabbriche, tra cui impiegati e dirigenti, nonché fiduciari dell’Ovra, di cui i fascisti non conoscevano l’attività occulta. Furono picchiati Paolo De Domenico («ritenuto antifascista»), Nino Mondini («sembra per aver sparlato delle Istituzioni e del Regime»), Pedro Berti («perché in relazione di amicizia col noto Ducci Ulisse col quale partecipò alle note cene»), Giacomo Menarini (capo squadra all’Ilva, «perché sembra abbia sparlato del Regime e sobillato operai dell’Ilva ove è occupato a non andare in Germania»), Volturno Macchi (per fatti segnalati dalla Questura), Paolo Metzeger (operaio alla Magona, «al quale ieri è stata tolta tessera e distintivo perché ritenuto che ascolti radio nemiche»), Armando Metzeger («per essere andato in aiuto del figlio mentre veniva percosso»), Gerardo Annunziata (ingegnere, «perché con poca comprensione tratterebbe in modo arrogante gli operai dell’Ilva che si rivolgono a lui per sussidi ed agevolazioni»), Foresto Gargalini (capo operaio all’Ilva, come sopra), Paolo Domenico (capo officina della Magona, «perché filoinglese»), Aldo Giannotti («marito della titolare della fiaschetteria Signori Marina perché ex sovversivo radiato» dal Pnf), Ermete Viti, Pellegro Valdisalici, Italo Pagni, e altri.
II 27 novembre, verso le 16, tre fascisti incontrarono in Corso Italia, all’altezza del Caffé Excelsior, Ilio Salvadorini, pregiudicato per ricettazione, «il quale non ha, come il padre, fascicolo quale sovversivo, ma ritenendolo un antifascista cercarono di malmenarlo». Salvadorini si difese con un coltello e scappò. Giunto a casa, prese una pistola Beretta. «Uscito poco dopo fu nuovamente notato nelle vie centrali in atteggiamento di sfida verso i fascisti che incontrava». Un gruppo di circa 6 fascisti trovò Salvadorini nella fiaschetteria di Marina Signori e lo aspettò all’uscita. Verso le 18.00 Salvadorini uscì, riuscì ad allontanarsi verso via Salvestrini (oggi via Casalini) e sparò due colpi a Dino Daddi prima di fuggire.
Per avere un’idea del clima che si respirava a Piombino in quei giorni, è utile leggere una relazione interna del vicequestore di Livorno, mandato appositamente per monitorare la situazione:
«Nella giornata di sabato 28 corrente in Piombino si riceveva l’impressione di essere ritornati alle ore della prima vigilia, in cui le squadre fasciste di azione stroncavano con eroico impulso giovanile la tracotanza comunista che, ai margini della prima guerra mondiale, insidiava la Patria. Gruppi di fascisti si vedevano in giro, sostavano nei pubblici ritrovi, facevano esibizione alcuni dello storico manganello».
Non tutti però condividevano tale approccio muscolare al problema della tenuta dell’ordine pubblico nella città operaia; anzi, soprattutto presso il comando dei carabinieri e il commissariato locale, questo ritorno allo squadrismo delle origini veniva giudicato controproducente. In effetti l’esuberanza dei picchiatori fascisti aveva portato ad attirarsi profonde critiche da parte delle truppe dei marinai, come spiegava il commissario Andrea Dragoni: «un numero rilevante di marinai (credo oltre 150) sono di Piombino ove hanno oltre alle rispettive famiglie, parenti ed amici fra i quali forse qualcuno fu anche oggetto di punizioni punitive». In seguito a un episodio che aveva visto i marinai prendere le difese di una persona picchiata nel centro della città, si sparse la voce che questi «avrebbero espresso il divisamento di non mantenersi indifferenti ad eventuali nuove analoghe spedizioni punitive di quelli squadristi». A questo scollamento tra le fila della Marina e quelle del fascismo, è bene aggiungere anche altre conseguenze che ebbero le spedizioni punitive: la fuga di vittime che avevano reagito agli attacchi (come Ilio Salvadorini) e di alcuni esponenti antifascisti particolarmente in vista. Entrambi questi elementi si sarebbero poi ripresentati in seguito, nella battaglia del 10 settembre 1943.
Piombino, Toscana, 57025, IT